(nella foto. Roberto Bolle, per gli altri capitoli vedi http://penaepanico.splinder.com/)
martedì, ottobre 11, 2005
Sottopassaggio (capitolo sette)
Luca quella sera si fermò a dormire. Samantha lo avrebbe aspettato a casa verso le 12 del giorno dopo per andare a mangiare da sua madre e ritirare i loro due figli che avevano passato il fine settimana dai nonni. Tramortiti dai fumi dell’alcol quella sera io e Luca facemmo per la prima volta l’amore. Quella sera tra i fumi dell’alcol Luca mi disse che era da anni che aveva sognato questo momento e che non aveva mai avuto il coraggio di dirmelo, neppure per scherzo. Da come si sera comportato, nonostante i miei vaghi ricordi, non era sicuramente la prima volta che si portava a letto un uomo. Anzi, mentre stavamo facendo l’amore mi resi conto che Luca di uomini ne sapeva più di me. Precipitai nello sconforto più totale. Io avevo passato gli ultimi quattro anni della mia vita con Javier ricostruendo un microcosmo dove noi due eravamo gli abitanti unici. Avevamo abbellito il nostro mondo di date da ricordare ed esperienze da condividere insieme, di regali comprati per festeggiare gli anniversari e di commenti che ci facevano compagnia quando rientravamo dal cinema. Questo era il nostro universo, la nostra vetrina attraverso la quale gli altri avevano accesso a noi. Poi, più il là dei vetri, oltre lo spazio visibile dal marciapiede c’erano le cose più nascoste. Le più intime: le nostre manie, i nostri vizi, le nostre fragilità, le nostre paure. Un microcosmo minuscolo formato da due scomparti diversi, abitato da due individui incapaci di accorgersi cosa stava succedendo oltre quel vetro se guardato da un’opposta prospettiva. Bastava avere il coraggio di affacciarsi, di voltare le spalle a quello che si era costruito dentro per rendersi conto che oltre la cortina adamantina c’erano cuori che pulsavano, anime recalcitranti in cerca di un po’ di comprensione, corpi disperatamente bisognosi di farsi vedere per assicurarsi un senso. Javier mi aveva fatto diventare il centro della sua galassia, lui era il mio sole, con i suoi solstizi e le sue maree lunari. Sparendo dalla circolazione aveva imploso questo sistema e mi aveva scagliato come un meteorite sul pianeta degli altri che a turno entravano in contatto con la mia orbita, ormai ridotta a brandelli. Era come se per quattro anni la massa di gas e metallo fosse esistita esclusivamente per salvare i suoi autarchici due abitanti e non avesse la forza di ospitare nessun altro fuori di lì. Era come se per quattro anni la massa di gas si fosse comportata come un gigantesco preservativo capace di difenderci dalla violenza degli altri. E adesso che la gomma di era decomposta tutti i batteri presenti nell’aria erano pronti a colpirmi. Uno di questi si chiamava indifferenza. L’indifferenza a chi, come Luca, viveva fuori da quella bolla incantata chiamata Alberto e Javier.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento