lunedì, febbraio 22, 2010

Carretta del mare


"C'era una volta un piccolo naviglio
che non poteva non poteva navigar,
era lontano dalla riva un miglio,
vedeva il porto e non poteva più approdar.

Eppure a posto avea tutti gli attrezzi
compreso chiglia ed il timon,
ma dagli e pesta non trovavan mezzi
per far marciare quel balordo carcasson.

E dopo una, due, tre,
quattro, cinque, sei, sette settimane,
nessun riusci a capir perchè
senza più esitar si rimise a navigar.

Le bianche vele, fiocchi e pappafichi
sciolsero tosto i marinar
e il capitano dai mustacchi antichi
salì sul ponte, la sua nave a comandar.

Quando il nostromo racconta
questa leggenda del mar,
tutti in silenzio stanno ad ascoltar
senza nemmeno fiatar.

Tremando, brilla lucente
l'occhio cercando laggiù,
dove nel nulla si perde il mar blu,
un sogno che non torna più."

Nano nano

sabato, febbraio 20, 2010

Un po' Oprah, un po' Brad....

Ogni tanto cado nei miei labirinti senza passione (a differenza di quelli di Pedro Almodovar) e mi ritiro silenzioso (ma con cellulare, Mac, portatile e fisso appresso) nei miei appartamenti. Sta succedendo praticamente da tre settimane. Giorni in cui non ho voglia di uscire se non so a fare che. Praticamente mi sono rotto la minchia (se può dì?) di spararmi serate al bar a cercare di capire il perchè delle cagate che sparano gli altri, non me ne fotte un benemerito cazzo. Detto questo si apre il dibattito sul come affrontare le ore della giornata, i glutei che si abbassano, la pelle che si increspa come l'adriatico attaccato dalla bora, il cervello che si inchioda di fronte all'imbecillità altrui, i miei inviti patetici, eccetera, eccetera, eccetera. Quisquiglie per chi, più intelligentemente di me, ad un certo punto si è arreso e ha capito che "comunque vada in due è meglio". Domanda: quindi ora che faccio? Resisto nella certezza che la storia mi assoverà? Cambio strada nella speranza che passi un tir? Me la tiro come ho sempre fatto pensando di essere un po' Oprah (de carità) un po' Brad, un po' Miguel, un po' Lola? Oppure apro un dibattito coinvolgendo i miei nanetti? La risposta che ho sulla bocca è la sigla di un partito politico. Se ve posso esser d'aiuto... Buona camicia a tutti

giovedì, febbraio 11, 2010

Dolore puro

Ho pianto perché c'era la tristezza, ma anche tanta allegria. Ho pianto perché lì c'era la vita con tutte le sue facce. Ho pianto perchè lì si amava davvero. Ho pianto perché il dolore si vedeva. Ho pianto perché c'era anche la purezza del dolore. Ho pianto perché lei era bellissima. Ho pianto perché in fondo le loro storie non li hanno cambiati. Ho pianto perché i sentimenti erano chiari e ben evidenti. Ho pianto perché lì non c'era paura. Ho pianto perché mi andava di piangere. La prima cosa bella è bella davvero. Un appunto: perché i registi italiani non emigrano in Afghanistan e non si perdono in qualche grotta clandestina in mano ai talebani? Ne salviamo solo uno. Basta e avanza. Nano nano

martedì, febbraio 09, 2010

Quello è....

"Amleto Amleto io sono il pallido prence danese, che parla poco, che veste a nero, che si diverte nelle contese". Sì, ripeto la mia parte a memoria e via si va a recitare. Drante il mio corso di teatro sono Amleto, sono lo Scarafaggio sono tante altre cose oltre al solito idiota. Se tornassi indietro partirei da qui. Se tornassi indietro correrei veloce su un mondo di cose. Se tornassi indietro giocherei fino ai 29 anni, mi innamorerei a 30 anni e smetterei di amare a 40, per poi tornare ad amare a 43 questa volta per sempre. Così. Se tornassi indietro mi stamperei sulla fronte generazione anni '80, così giusto per un orgoglio trattenuto per troppo tempo. Se tornassi indietro chiederei a Giorgio Gaber perché la Colli è passata dal cantare La Balilla a sparare minchiate dietro un nano trans. Poi magari non mi farei conciare i capelli come qualche volta mi hanno conciato e metterei sulla testa meno gel, lacca e spuma. Per il resto non ho rimpianti. Solo rimorsi. O è il contrario? Boh, non mi ricordo mai. Comunque quello è... Nano nano

venerdì, febbraio 05, 2010

Puzzle di Facebook

Facebook è un po' come gli occhi della gente. Se questi sono lo specchio dell'anima, il social network lo è della solitudine. "Esisto, ma gli altri non mi vedono, vado su Facebook e impogo la mia presenza. Così ci sono per tutti". Una cosa semplice che un qualsiasi buon psicoterapeuta scopre nei primi 5 minuti della prima seduta. Un giochetto plymobil dagli zero ai tre mesi, per intenderci ancora meglio. Eppure la pagine del maledetto social network che sta confondendo più di una gernerazione, pullula di richiami contro la solitudine interiore a più non posso. Gente che butta lì frasi che chiedono solo ed esclusivamente una cosa: "mi parlate?" e che trascinano l'intero mondo fatto di tanti io in un fondo marino plumbeo, pieno di relitti tirati a lucido prossimi alla decomposizione. Prossimi. Ma nessuno se ne accorge perché tutti sono nella stessa situazione scissi tra un qualcosa di se che gli altri non percepiscono perché confuso e contrito e quello che invece passa nella quotidiana socialità. Per esempio: "Giornata confusa tra un sì e un forse", diventerebbe più semplicemente: "Passi a ripassarmi o devo chiedere a qualcun altro?". Oppure: "Impalpabili risposte", sarebbe "Quando parli non si capisce un cazzo, poi disintegrarti?". E ancora: "Felice e sorridente affronto una nuova giornata" al posto di: "Bello, mi hai mollato sono a pezzi ma piuttosto di fartelo sapere, mi infilo in una scatola, divento un puzzle in attesa che qualcuno mi riscostruisca". Cose di questo genere. Il male del mondo oltre alle madri e alla famiglia è l'ipocrisia. Tre cose per altro strettamente collegate. Nano nano.
(nella foto, il puzzle che vorrei)