domenica, maggio 23, 2010

Internazionale

Milano è esplosa per la sua Internazionale. Milano ha rotto il silenzio e lo ha scaraventato a terra sotto fischi e trombette. Milano è uscita di casa dimenticando per un attimo neri, rom e lotte tra gang di sud americani. Milano è tornata a vivere grazie ad un pallone di calcio e ad un allenatore che odia, e come biasimarlo, l'Italia. Milano è scesa in strada e io mi sono trovato a dietro un'automobile di muscoli tesi e bandiere sventolanti che fuoriuscivano dai finestrini col dubbio che fossi capitato giusto al seguito dell'unico fan club gay di nerazzurri dell'universo. Peccato che al primo semaforo abbiano girato a sinistra, mentre io meditabondo e impavido andavo in direzione centro a bordo della mia motoretta. Meditavo sulla festa che non può appartenermi visto che con il calcio mi sciacquo i maroni e a cui non posso essere interessato perché detesto i tifosi. Eppure il branco, quel branco fatto da profili per nulla muliebri mi affascina più di quanto mi affascinassero ai tempi i saldi di Zara. Lo trovo meravigliosamente limpido e di facile lettura tanto che basterebbe mettersi fuori da uno stadio per capire la natura umana, farci pace e cominciare a conviverci sereni. L'uomo in fondo è basic, come una linea secondaria di una qualunque griffe o l'istinto di Catherine Tramell. Lì, attaccato alle urla che sonno di grida, agli sguardi torvi sotto sopracciglia pinzettate, a mutande di lycra che esplodono sopra la vita dei pantaloni. E io mentre mi perdevo in tutto questo e osservavo felice l'umanità ululante mi chiedevo: "Perché non riusciamo a liberarci di te?" Nano nano

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